"Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Dategli dei soldi perche' acceleri la sua partenza, dato che non intendiamo morire in compagnia di quell'uomo. Non vogliamo morire con nessuno ch'abbia paura di morir con NOi!"
Enrico V-William Shakespeare

martedì 25 agosto 2009

Ministro Sacconi (intervista)

«Salari differenziati dai nuovi contratti
o saltano gli sgravi alle retribuzioni»

Sacconi: non vogliamo le gabbie, anche la Lega è per il modello delle intese decentrate

Il ministro del Welfare: l’accordo tra imprese e sindacati va attuato. Sul banco di prova i negoziati per metalmeccanici e chimici

Un disegno del ministro Sacconi
Un disegno del ministro Sacconi

ROMA — Per parlare con Maurizio Sacconi dell'autunno non si può prescindere da quanto ha detto al Corriere a Ferragosto il sociologo Giu­seppe De Rita, convinto che quella stagione sarà «decisiva» per il breve e per il lungo periodo, ma pure che è illusorio credere nella virtù taumatur­gica delle grandi riforme. «Ha ragione. Per la so­pravvivenza oggi e la crescita domani servono at­ti e cambiamenti più concreti e profondi delle ri­forme legislative», sostiene il ministro del Welfa­re. Secondo De Rita il berlusconismo si sta sfari­nando.

«In quel punto della sua bella intervista, che pe­raltro riconosce i meriti del governo nella crisi, sbaglia quando risolve il berlusconismo con il ri­chiamo alla libertà e responsabilità individuali. Nel centrodestra è maturata la consapevolezza che occorrono risposte collettive ai bisogni ma, come dice De Rita, non necessariamente statuali. Per questo è in noi diffuso il riferimento alla sus­sidiarietà ovvero alla capacità di fare sviluppo mobilitando le tante espressioni della comunità, dalle famiglie alle parti sociali, al terzo settore. E ciò è tanto più vero nel momento in cui dovremo saper crescere con il doppio vincolo del debito pubblico e del declino demografico. Non a caso nell'agenda dell'autunno avrà grande rilievo il ca­pitale umano, in tutte le sue forme». Tema che qui non va molto di moda, a giudi­care almeno da come (non) funziona la forma­zione. «L'integrazione fra apprendimento e lavoro è fra i problemi da affrontare». La Confartigianato dice che nonostante la cri­si ci sono imprese che non riescono a trovare manodopera. «Appunto, si è persa la cultura del lavoro come parte fondamentale del processo educativo. In passato un giovane universitario poteva impiega­re parte dell'estate a lavorare. C'era una giusta fretta nel lavorare, oggi c'è una propensione op­posta » .

Ci stiamo rammollendo? «No, per fortuna. C'è in alcuni segmenti giova­nili, e non per loro colpa, minore disponibilità al lavoro manuale e alla fatica: vanno corretti i per­corsi educativi. Con il ministro dell'Istruzione Ma­riastella Gelmini realizzeremo una cabina di regia per integrare apprendimento scolastico e lavoro, rafforzando il progetto Excelsior Unioncamere per individuare il fabbisogno di specifiche profes­sionalità. Ma vogliamo anche dare valore agli uffi­ci di placement nelle scuole e nelle università». Uffici di collocamento direttamente a scuo­la? «Qualcosa di meglio: sono canali di comunica­zione fra istituzioni educative e imprese. Si tratta di estenderli e rafforzarli. La legge Biagi, per esem­pio, ha introdotto un meccanismo, ancora realiz­zato in forma molto di nicchia, per conseguire ti­toli di studio con contratti di apprendistato in aziende convenzionate con le università».

Nella lista dei problemi da affrontare ci sono anche i salari più bassi d'Europa? «Una giusta distribuzione della ricchezza si fon­da sul riconoscimento dei meriti e dei bisogni. I salari vanno differenziati perché non siamo ugua­li. Il banco di prova autunnale, con i primi con­tratti di metalmeccanici, alimentaristi, chimici e comunicazioni, sarà l'attuazione dell'accordo sot­toscritto da tutti tranne che dalla Cgil. Meno il contratto nazionale sarà invasivo, più ci sarà spa­zio per il contratto aziendale, detassato al 10%». Ma la Lega chiede paghe diverse al Nord e al Sud, evocando le gabbie salariali di 50 anni fa. «La Lega è d'accordo con il nuovo modello. Nessuno ha parlato di gabbie salariali, meccani­smo centralistico fissato per legge. Se il contratto si decentra, ineluttabilmente è più sensibile alle differenze di costo della vita e di produttività. Il punto vero è che sindacati e imprese, dopo aver firmato l'accordo, non possono cedere. Siamo ri­spettosi dell'autonomia delle parti, ma non indif­ferenti agli esiti». Vale a dire? «Abbiamo messo sul piatto la detassazione del salario variabile. Ma nella misura in cui le parti la usano: altrimenti dovremmo ripensarci. In autun­no ci devono dimostrare che l'egualitarismo non rientra dalla finestra dopo essere uscito dalla por­ta. Ne va della produttività e soprattutto del rico­noscimento del diritto dei lavoratori a una giusta retribuzione. In questo ci confermiamo una coali­zione laburista » .

Centrodestra di sinistra? «Certamente attenta anche ai bisogni a partire dalla tutela di chi è costretto all'inattività con ri­sorse per gli ammortizzatori sociali che confermo essere più che sufficienti. Faccio inoltre notare che questo governo ha introdotto la carta acqui­sti per la povertà assoluta. Ricordo — a chi con la puzza sotto il naso ha deriso gli 80 euro a bime­stre — che stiamo per la prima volta individuan­do la platea del bisogno assoluto. E abbiamo crea­to un canale di comunicazione fra questa platea, le istituzioni e i donatori privati. Perché l'obietti­vo del governo è anche stimolare la cultura del dono. Perché aiutando gli ultimi anche con la cari­tà rafforziamo pure la comunità. Vede come la sussidiarietà torna continuamente?». Come si stimola il dono in un Paese dove i contributi alle organizzazioni benefiche sono fi­no a 51 volte meno favoriti fiscalmente rispetto ai fondi versati alla politica? «Certamente con in­terventi di defiscalizzazione. Ma anche con l'im­plementazione e la stabilizzazione dell'ottima idea tremontiana del 5 per mille. Peraltro abbia­mo parlato di una nuova stagione costituente per il terzo settore. Il principio è sempre lo stesso: senza la sussidiarietà non si va da nessuna parte. Guardi i servizi per l'infanzia».

Meglio di no. In questo siamo quasi ultimi nel continente. «Ebbene, noi vogliamo portare quei servizi a livelli superiori al 30%, ma ciò non si realizza solo con le strutture tradizionali, come gli asili nido pubblici e privati. Con la collega Mara Carfagna pensiamo a un grande piano di diffusione delle cosiddette mamme di giorno, termine mutuato dall'esperienza delle tagesmutter altoatesine. L'idea è quella di remunerarli attraverso i vau­cher, i buoni prepagati. Ma sottolineo anche che il tema della natalità, come più in generale quello dello sviluppo umano, non può essere disgiunto da tutto ciò che riguarda il valore della vita». Il valore della vita? «Certamente. Sulla bioetica tutto il governo ha avuto finora posizioni laicamente unitarie, a vole­re difendere e attuare la legge 194 e rigorosamen­te verificare la compatibilità della pillola Ru486 con la legge stessa. Proprio perché riteniamo che si debbano salvaguardare i criteri che hanno evi­tato la solitudine della donna di fronte al dramma dell'interruzione di gravidanza. E per la regolazio­ne della fine di vita tutto il governo si è espresso a favore del diritto inalienabile all'alimentazione e all'idratazione per chi non è autosufficiente. A questo proposito, per attenuare la conflittualità parlamentare, potremmo ipotizzare l'immediata approvazione di queste norme rinviando a solu­zioni più condivise quelle relative alle dichiarazio­ni anticipate di trattamento».

Ma cosa c'entra questo con il capitale uma­no? «C'entra, eccome. Il valore della vita è il presup­posto necessario del vitalismo economico e socia­le » . Paesi con regole assai diverse, come l'Olan­da, non sono certo sottosviluppati. «Come il calvinismo è stato alla base dello spi­rito capitalistico di quel Paese, così i valori della nostra tradizione hanno sostenuto la diffusa im­presa familiare » . Magari gli ospedali italiani funzionassero co­me lì. «Nel tema del capitale umano rientra anche lo stato di salute. A settembre riprende il tema delle Regioni commissariate e dei subcommissari, cioè i tecnici che saranno nominati per gestire in con­creto i commissariamenti, e della verifica delle al­tre regioni. C'è un problema grosso di tutto il Cen­tro Sud, che spesso non conosce la medicina del territorio e, in essa, il ruolo della famiglia e del volontariato. Anche per questo motivo si spende molto di più e si ha molto di meno. Qui emerge in tutta la sua drammaticità il problema del Sud, che spesso significa incapacità delle classi diri­genti di fare buona amministrazione ordinaria».

Del resto, finché i primari saranno nominati in base alle tessere di partito... «La competenza sulla sanità è regionale. Noi appoggiamo le proposte legislative tese a rafforza­re la oggettiva valutazione dei curricula dei candi­dati a direttore generale e a primario. Ma il com­missariamento non è uno scherzo: è l'anticamera del fallimento politico». Sempre che poi i politici commissariati non vengano addirittura promossi. «Sono d'accordo. Nel Sud non mancano le in­telligenze, dobbiamo soltanto affermare con il fe­deralismo fiscale nuove regole del gioco nel se­gno della responsabilità. E non c'è migliore deter­renza dell'esautoramento di chi ha sbagliato. Con il ritorno alle urne e l'ineleggibilità degli ammini­­stratori falliti » .

Sergio Rizzo
24 agosto 2009

Fonte Corriere della Sera

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