"Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Dategli dei soldi perche' acceleri la sua partenza, dato che non intendiamo morire in compagnia di quell'uomo. Non vogliamo morire con nessuno ch'abbia paura di morir con NOi!"
Enrico V-William Shakespeare

giovedì 24 settembre 2009

Mafia

Tutti contro don Giorgio, il prete che denuncia la mafia nella casa di Dio



da Liberazione 22 settembre 2009


Minacce telefoniche e insulti al sacerdote messo all'indice dal giornale di Feltri

Tutti contro don Giorgio, il prete che denuncia
la mafia nella casa di Dio

Checchino Antonini

Ci mette un po' a rispondere, don Giorgio. Eppure un attimo prima dava occupato, e così per buona parte del pomeriggio. Dopo decine di squilli un filo di voce. Credeva, il settantunenne sacerdote, che all'altro capo del filo ci fosse l'ennesimo insulto. Da due giorni, da quando il giornale di famiglia del Premier e di Feltri lo ha preso di mira, «è una tortura, un vilipendio unico, robe spaventose». Il cronista si vergogna a chiedere un catalogo esemplificativo di quegli insulti ma lui anticipa la domanda e mi rimanda al sito - dongiorgio.it - per rendermi conto delle volgarità pronunciate da sedicenti cattolici. Il repertorio è quello consueto, una miscela di minacce, insulti più la retorica su martiri, eroi, patria. «Infame», «criminale», «bastardo» sono gli epiteti più lievi talvolta conditi dalla weltanschauung un po' rozza del generone leghista e fascista. Don Giorgio non ha censurato nessuno, le parolacce sono tutte sul suo sito.

Ma perché il potente organo della famiglia B. se la prende con questo prete di campagna che nemmeno è parroco? Giorgio De Capitani è "residente con incarichi pastorali", ossia dice messa in una frazioncina, Monte di Rovagnate, a una ventina di chilometri da Lecco. 500 anime che diventano 6-700 la domenica quando il don celebra le sue «vivaci messe». Molti lo amano, qualcuno lo insulta mentre officia, qualcuno passa per «spiare» e da 48 ore il paesino è «frastornato, vive un clima sbagliato», ammette il sacerdote che afferma di avere un certo timore a uscire dalla canonica.

Dice messa e scrive su un sito. E riceve posta. Come la lettera dei lavoratori di Acerra licenziati dal termovalorizzatore che Berlusconi ha finto di inaugurare a luglio. Il giorno dopo la strage di Herat e tutta quella retorica a senso unico. Morti di serie A e morti di serie B. Lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Don Giorgio sbotta. Col suo linguaggio colorito. «Se una parola forte serve a scuotere le coscienze - dice - la uso senza pormi alcun problema». E scrive contro il contagio «da esaltazione paranoica patriottica» e trova il coraggio di dire che i «nostri militari che si trovano nelle zone calde di una guerra non sono altro che mercenari» e pone domande scomode: «Chi si è ricordato di Teresa Sarti, moglie di Gino Strada? Una grande donna, altro che i maschioni fascistoidi della Folgore!». «Emergency - aggiunge - sta lì a curare le persone ferite da chi è andato lì a sparare. Perché a Teresa non sono stati tributati funerali di Stato». Naturalmente questo prete condanna gli attentatori «vigliacchi, delinquenti» e scrive chiaro che di fronte alla morte siamo tutti uguali. Ma il «finimondo» si scatena su di lui, a mezzo stampa, via telefono e via mail. «Nessuno dice che quindici giorni fa sono stati uccisi dei civili e non si sa da chi perché c'è il segreto militare, non si fa una missione di pace con le armi in mano - spiega ancora a Liberazione - si fa retorica sul fatto che i soldati morti siano del Sud, che abbiano bisogno, però qualcuno li addestra a sparare. E' un'offesa al Sud».

Ma perché, dicevamo, tutto questo piombo (di stampa) contro un prete di campagna? Primo perché non è solo. Il noto quotidiano ha contato i preti ribelli mettendo all'indice il no global don Vitaliano, il genovese don Gallo e così via fino a contarne 41. A pochi metri dalla basilica di S.Paolo di Roma, la comunità cristiana di base, per tutta la giornata di ieri, ha pregato per tutte le vittime della guerra e per la fine della guerra stessa mentre non pochi saluti romani spiccavano tra la folla commossa accorsa per i funerali di Stato. Ma è probabile che al giornale non vadano giù gli attacchi di don Giorgio alla «mafia nella tana di Dio», così definisce Comunione e liberazione e il suo braccio secolare, la Compagnia delle Opere, che gestisce tutta la sanità lombarda, e pezzi di cultura, di scuole, atenei, oratori e gli appalti dell'Expo, «come una setta ramificata». Cl e la Lega che si stanno per scannare sull'eredità di Berlusconi, ormai al crepuscolo.

E Tettamanzi, il cardinale di Milano tirato per la giacchetta dal giornale, non è ancora mai intervenuto contro questo prete affezionato alla teologia della liberazione.

Tra gli insulti, intanto, spuntano gli interventi di solidarietà con don Giorgio: «La vera storia della guerra in Afghanistan è nota per chi la vuol conoscere. La democrazia non c'entra nulla... civili e soldati sono entrambi vittime della porca guerra... caro don Giorgio non badi a coloro che la insultano, hanno una visione miserrima della vita e del suo valore», dice nella lunghissima lettera una donna che si firma "figlia di un militare".

Nessun commento:

Posta un commento