di : Daniele Verzetti- L'Agora
LO SCRITTORE SPIEGA LA FORZA DELLA PAROLA
di Loris Mazzetti
Gomorra, il libro di Roberto Saviano, è stato accusato da Silvio Berlusconi di essere “supporto promozionale alle cosche”. Non c’è mai limite all’indecenza, soprattutto quando certe parole escono dalla bocca di una delle massime istituzione del nostro Paese. Non è la prima volta che il presidente del Consiglio si esprime contro chi scrive di criminalità organizzata. La volta scorsa fu a novembre, sempre in occasione del processo del suo amico Marcello Dell’Utri: allora disse che dovevano essere “strozzati” tutti quelli che hanno fatto la “Piovra” e che scrivono libri su Cosa Nostra perché “ci hanno fatto conoscere nel mondo per la mafia”.
Il giorno in cui il pm chiede per Dell’Utri una condanna a undici anni per concorso esterno in associazione mafiosa, il premier se la prende con un grande scrittore che da quattro anni vive sotto scorta. Roberto Saviano ha un’unica responsabilità: quello di aver illuminato i fatti, di aver fatto conoscere all’Italia e al mondo i casalesi, di aver acceso la luce sulla camorra.
Forse sì. Io ritengo la responsabilità della parola quasi sacra. So bene che uno scrittore non dovrebbe prendersi troppo sul serio, ma a me sono accadute cose che non mi permettono questo distacco. Mi sono reso conto che la parola che sono riuscito a usare, una volta superata una certa linea d’ombra, una volta uscita dagli ambiti soliti degli addetti ai lavori, ha ottenuto un effetto impensabile, quasi miracoloso: è diventata strumento per altre persone per conoscere la realtà della camorra o per farla conoscere. La mia parola ha consentito ad altri di tirare fuori la voce.
Lo hai detto anche nell’intervista che ti fece Enzo Biagi che è stata la rabbia che ti ha spinto a scrivere Gomorra, cito testualmente: “Era tanta la rabbia da far stringere i pugni persino quando scrivevi…”.
Sì. Può sembrare questa un’immagine romantica, ma in realtà è proprio così. Mi trovai con un mio vecchio amico e ci dicemmo che la rabbia era così tanta che bisognava scrivere sulla tastiera del computer con le nocche. Lo giuro, l’immagine mi era venuta in mente dopo aver seguito la faida di Scampia, ero stato sul luogo dell’omicidio di Attilio Romanò, era gennaio 2005, e questo ragazzo innocente era stato freddato nel negozio dove lavorava, il corpo crivellato di colpi e sangue dappertutto. Quanto tornai a casa cominciai a battere sulla tastiera solo con la mano destra, mentre la sinistra, senza accorgermene, era chiusa a pugno, sino quasi a farmi male. Questo mi colpì. Non solo ero disgustato dall’omicidio, ero anche terribilmente arrabbiato perché per i media nazionali quella vittima apparteneva ai soldati di camorra: morire in una certa terra significava essere colpevoli in partenza. La rabbia è vera, nasce dentro di me. È stato sicuramente il primo motore che mi ha portato a scrivere.
Sei considerato uno dei più grandi esperti di camorra, tieni conferenze anche agli addetti al lavoro, nel tuo intimo esiste una ricetta su cosa bisognerebbe fare?
Veramente non so dove iniziare. Sicuramente so che dal momento in cui blindi i subappalti, l’attenzione nazionale diventa costante, permetti ai giudici di lavorare in maniera concreta, smetti di dare strumenti soltanto per la repressione, quei poteri criminali cominciano a inciampare, a cadere, a sentirsi stretti, ad avere il fiato sul collo. Faccio un esempio: il voto di scambio è fondamentale. Il problema non è arrestare chi lo compra con 50 euro, quello non si farà prendere mai. Non si dovrebbe far sentire il voto così inutile perché, chi lo vende per 50 euro, lo considera una cosa priva di valore. Pensa che chiunque venga eletto, farà soltanto i propri affari o gli affari di chi lo vuole mettere lì, tanto vale guadagnare un cellulare, 50 euro, una bolletta pagata. Bisogna partire da questo, invece di reprimere o arrestare chi accetta i 50 euro. A questa persona bisognerebbe fargli capire con azioni concrete che tutto sta cambiando, e che non è solo retorica quando si diceva che “il principio primo della democrazia è la partecipazione”. Oggi è esattamente il contrario: che governi la destra o la sinistra, secondo la percezione dominante tanto è la stessa cosa, tutti sono ladri, pensano solo al proprio tornaconto.
In certe zone dell’Italia bisognerebbe mantenere i fari accesi, bisognerebbe illuminare quelle terre. La criminalità organizzata ha bisogno invece di silenzio per poter fare i propri affari. Credo che una grande responsabilità ce l’abbiano i mezzi d’informazione, in particolare la televisione, che per illuminare fa ben poco. Non pensi che questo dipenda anche dal fatto che la mafia sta all’interno dell’economia e quindi riesce in qualche modo a controllare tutto?
C’è una frase di Dalla Chiesa che mi ha sempre colpito: “Lo Stato dia come diritto ciò che le mafie danno come favore”.
È una frase fondamentale, perché è la prima cosa che le mafie fanno, oggi anche ad altissimo livello e non solo con i disperati dei quartieri disagiati. Il racket è una fornitura di servizi ineccepibile, pagarlo in molte realtà significa che i camion ti arrivano puntuali, che le banche ti aiutano. Le mafie diventano il garante per far avere prestiti alle imprese, che non ci siano furti nei cantieri. Pagare l’estorsione significa comprare un pacchetto di servizi. La frase del generale Dalla Chiesa oggi ha più valore di quando l’ha pronunciata, ed è fondamentale per capire che cosa sono le organizzazioni criminali, che spesso si sostituiscono all’inefficienza della burocrazia dello Stato, grazie ai contatti con i comuni, ai loro uomini nei municipi, tra i vigili urbani. Questa loro tecnica l’hanno portata anche nell’Est Europa, diventando il passepartout anche per le imprese sane, come è avvenuto in Macedonia, in Ungheria, in Albania.
Di cosa hanno bisogno i giovani delle tue terre, delle terre di camorra, mafia, ’ndrangheta?
Due cose: la prima, che sento molto mia, di non essere costretti ad emigrare. L’emigrazione deve essere una scelta, una possibilità per specializzarsi, per migliorarsi, non una necessità, una costrizione. Spesso in queste terre restano quelli che non hanno avuto le qualità per emigrare. O quelli che lo pensano di se stessi. Non deve più essere così. Dal Sud ogni anno emigra la quasi totalità di laureati. La seconda, di poter vivere in una realtà in cui il proprio talento sia spendibile, basta ascoltare qualsiasi ragazzo, che sia chimico o carpentiere, che lavori a Londra o ad Oxford o a Ferrara, che è stato scelto perché bravo, che ha avuto l’occasione di poter mostrare quello che vale. Nel Sud, invece, il talento non basta, deve sempre esserci la protezione, la mediazione, bisogna accontentarsi e poi implorare, il lavoro diventa un privilegio che ti è stato dato, e in cambio devi tacere e accettare quello che ti viene detto. Il lavoro deve essere un diritto e non un privilegio e se quel giovane decide di rimanere al Sud non deve sentirsi uno sconfitto, un fallito
Hai mai pensato di andare via, di andare all’estero?
Sì. L’ho pensato tantissime volte. Non l’ho fatto finora perché mi sembrava un tradimento. Diceva Paolo Borsellino: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio. O si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Come rompere questo silenzio se non con un forte risveglio delle menti annebbiate dalle false e manipolate informazioni, nonchè dalle malefatte degli arroganti al potere.
RispondiEliminaOccorre rompere il silenzio gridando tutti i giorni contro le falsità che amano raccontarci i nostri cari politici,i negletti giornalisti....
RispondiEliminaAldo, Upupa,
RispondiEliminagrazie per i Vostri commenti. Il silenzio lo stiamo rompendo, per la prima volta in Itaila, grazie a questo preziosissimo strumento che è internet, siamo al fianco dei coraggiosi e la voglia di stare zitti non ci viene proprio!
Sabato sera, su Rai3, dopo l'una circa un esperto informatico diceva che i potenti le stanno tentando tutte per mettere le mani su internet, ma il fenomeno è ingovernabile :DD
In Italia sempre più giovani aprono blog e siti dove denunciano ogni cosa, il tramonto degli dei è prossimo, perchè la marea "giovani" non la si ferma facilmente. Quelli che furono i Nostri Resistenti e Padri Costituenti all'epoca dei fatti erano giovani.. ciò mi da animo :D