Ora di religione: in gioco non è la libertà religiosa, ma la pari dignità fra laici e cattolici
Ora di religione: in gioco non è la libertà religiosa
ma la pari dignità fra laici e cattolici
di Michela Murgia
Un giorno forse, quando la religione smetterà di essere usata come un marcatore identitario e il povero crocefisso dietro la lavagna non sarà più un corpo contundente contro culture considerate estranee, si potrà parlare serenamente anche di una scuola laica. Forse allora a decidere l’offerta didattica saranno le esigenze formative degli studenti e delle loro famiglie e non, come avviene ora, le logiche di lottizzazione politica che altrove impongono nomine, clientele e palinsesti.
Purtroppo, in un passaggio storico in cui la Lega, tra gabbie salariali e fiction dialettali, continua a investire energie per erigere un fossato di distinzioni intorno al nord Italia con la scusa della valorizzazione del localismo, è diventato d’obbligo temere strumentalizzazioni persino su temi come la lingua, la storia e ogni tratto culturale che si presti ad essere manipolato a fini politici dietro il paravento chiodato dell’identità. In attesa che venga il giorno in cui libertà e laicità saranno sinonimi, la scuola resta un terreno di battaglia dove nessuno sembra saper resistere alla tentazione di fare barricate per i propri fini.
Così basta una sentenza del TAR sull’insegnamento della religione cattolica per far gridare allarme a vescovi e politici, e far pensare alla gente meno attrezzata che sia in gioco addirittura la libertà religiosa, invece che le pari condizioni scolastiche per i figli di tutti. Nelle nebbie della polemica intorno alla sentenza emergono sopra le altre alcune affermazioni tanto eccellenti quanto infondate, su cui vale la pena riflettere, se non altro per ricordare che chi parla di difesa dell'insegnamento della religione parla quasi sempre di tutt’altro.
Il ministro Gelmini per esempio afferma che “la sentenza del TAR vuole discriminare la religione cattolica” rispetto alle altre materie perché stabilisce che il voto dell’insegnante di religione non ha valore nello scrutinio; a dire il vero, essendo quell’insegnamento facoltativo, è lo stesso ordinamento scolastico a dire che la religione cattolica non è come la matematica o l’italiano. Il Tar si è solamente limitato a ricordare che il voto di una materia facoltativa non può fare media, perché in quel caso a essere discriminato sarebbe chi non se ne avvale, e doverlo far notare proprio al ministro è quasi imbarazzante.
Ad aumentare la confusione si è aggiunto anche l’ex ministro Fioroni, affermando che negli scrutini il credito formativo dell’insegnamento della religione cattolica vale come il credito maturato da chi segue per fatti suoi “un corso di danza caraibica”; meno male che non è vero, altrimenti bisognerebbe che il corso di danza caraibica lo pagasse lo Stato con le tasse di tutti, proprio come l’ora di religione, che è retribuita anche da chi sceglie consapevolmente di non seguirla. Persino Fioroni riconoscerà che questo è un vantaggio di partenza, se non altro economico, che manda in malora qualunque pretesa parità.
L’ultima cosa fuorviante l’ha detta monsignor Coletti, il responsabile CEI per la pastorale scolastica, sulla natura dell’ora di religione, affermando che "non si tratta di un insegnamento che va a sostenere scelte religiose individuali". Se questo fosse vero, agli insegnanti di religione per entrare in graduatoria non sarebbe necessaria la dichiarazione di idoneità da parte della curia, dichiarazione che – chissà se lo sa il ministro Gelmini - può essere ritirata in qualunque momento sulla base di scelte private dell’insegnante, tipo una convivenza pre matrimoniale, una gravidanza da single o uno screzio qualsiasi con il vescovo diocesano territorialmente competente.
Nessun altro insegnante oltre a quello di religione rischia di perdere il posto per le sue scelte private, e visto che la barricata della settimana verte sulla presunta discriminazione, sarebbe bello che qualcuna di queste persone spiegasse come la dovremmo chiamare, questa.
14 agosto 2009
da Liberazione 14 agosto 2009
Dalla riforma Gentile alla modifica del Concordato sotto Craxi
L’ora di Dio una storia tra i banchi
Tonino Bucci
Tra i banchi della scuola italiana (pubblica) l'insegnamento della religione cattolica non è entrato subito. Per quanto zoppicante il vecchio Stato post-unitario aveva mantenuto del vecchio repertorio risorgimentale la bandiera dell'anticlericalismo. Nella neonata nazione solo nelle scuole elementari era permesso l'insegnamento (facoltativo) della religione cattolica.
Da dove nasce l'ora di religione? Bisogna aspettare almeno mezzo secolo perché faccia la sua comparsa nelle scuole. È il primo governo fascista con la riforma Gentile della scuola nel 1923, pochi mesi dopo la Marcia su Roma, a rendere obbligatorio l'insegnamento della religione cattolica. Ma è il Concordato del '29 firmato da Mussolini con il Vaticano a sancire l'ingresso definitivo dell'ora di religione in tutti gli ordini e gradi della scuola, dalle elementari alle medie e superiori. La formula che fissa il passaggio è perentorio. La religione cattolica è riconosciuta come «fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica». Passa il fascismo, c'è la lotta di Resistenza, finisce la guerra e nasce la Repubblica. Ma col Vaticano - che fino all'ultimo inclina per il mantenimento della monarchia e solo malvolentieri accetterà la democrazia - le nuove istituzioni repubblicane cercano un riconoscimento reciproco in nome del realismo. Il compromesso tra poteri si raggiunge in punta di equilibrio col tormentato (e discusso) articolo 7 della Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale». Nelle scuole tutto rimane come prima. Passeranno decenni prima che un governo italiano torni a discutere con il Vaticano di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Lo fa Craxi nel 1984 che nella modifica concordataria trasforma la formula decisiva per l'ora di religione. «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principî del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». Sembra un passo in avanti. La religione cattolica non è più «il fondamento e il coronamento dell'istruzione pubblica», come era scritto nei Patti lateranensi del '29. Stavolta la faccenda è messa nei termini di una concessione. E' la Repubblica italiana che "riconosce" il valore del cattolicesimo e ne assicura l'insegnamento. Nei fatti, però, l'insegnamento della religione cattolica (da allora chiamato con la sigla Irc) viene esteso anche alle scuole materne. Non solo. Per giustificare un'anomalia solo italiana - dato che in nessun altro paese occidentale la scuola pubblica si fa carico di insegnare una confessione religiosa - si fa passare la religione cattolica per una materia di interesse generale imprescindibile per la cultura nazionale. La musica non cambia, si spaccia una confessione religiosa particolare per cultura di rilevanza universale di cui lo Stato deve garantire l'insegnamento nelle scuole pubbliche. E non con propri insegnanti scelti in base a concorsi pubblici. I docenti li sceglie il Vaticano. E' la Curia a nominarli, a suo insindacabile giudizio. Però è lo Stato a pagarli. La spesa annua per pagare lo stipendio a circa 25 mila insegnanti di religione - i dati riportati sul sito dell'Uaar risalgono al 2001 - si aggira intorno ai 620 milioni di euro. Milleduecento miliardi delle vecchie lire. Non basta. Dal 2003 (per effetto della legge 186) gli insegnanti di religione sono entrati in ruolo, quantunque non abbiano mai sostenuto un concorso pubblico.
Però lo Stato non può intervenire sulla disciplina. A scanso d'equivoci un protocollo del concordato stabilisce: l'insegnamento della religione «è impartito in conformità della dottrina della Chiesa». Evidente come il sole. Quell'ora è di monopolio assoluto della Chiesa che ne dispone per insegnare la propria visione confessionale. E di insegnare altre confessioni non si fa proprio cenno nella modifica del concordato. A meno che a un docente non venga in mente di rischiare il proprio posto. La Chiesa li sceglie, la Chiesa può prendere provvedimenti qualora un insegnante non segua la retta via nella vita privata. Lo dice anche il Codice di diritto canonico. «L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica». Non solo, gli insegnanti di religione, per mantenere il posto, devono chiedere ogni dodici mesi il nulla osta all'autorità diocesana che potrebbe intervenire in caso di «condotta morale pubblica in contrasto con gli insegnamenti della Chiesa». Detta in soldoni, se a un docente di religione dovesse capitare d'essere piantato dal consorte e di divorziare, potrebbe per giunta perdere anche il lavoro. Ha fatto scalpore, ad esempio, il caso della prof in gravidanza fuori dal matrimonio licenziata dalla Curia. A nulla valse il ricorso.
Alle materne e alle elementari le ore di religione sono due - in base a una modifica della revisione del concordato - mentre si riduce a una alle medie e alle superiori. La Cei ha insistito perché l'ora (o le ore) non capitassero alla fine dell'orario scolastico. Motivo? La naturale propensione degli studenti a dileguarsi.
L'ora alternativa a quella di religione? Certo, in teoria si può fare. Il concordato riconosce la possibilità di «non avvalersene». Ma di fatto le scuole non hanno i soldi per organizzare attività alternative. Però è un diritto di genitori e studenti pretenderlo.
14/08/2009
Non riesco a capire tutto questo marasma.
RispondiEliminaGià quando ai miei tempi la religione, pur non essendo facoltativa, non faceva media alla fine della valutazione.
Non è in discussione l'ora di religione liberamente scelta come opzione, ma il peso del suo giudizio sulla valutazione.
E' più che giusto che non possa esercitare nessun tipo di "veto" , anche indirettamente, sugli scrutini finali.
Ne stanno facendo un caso, laddove il caso non esiste .
Io credo, sempre per il solito motivo: imbrogliare l'opinione pubblica.
Il governo e la gelmini( minuscola d'obbligo) ci si buttano sopra...ogni motivo è valido per ingraziarsi il Vaticano...specie in periodi di secca...e di chiara immoralità vergognosa del capo del governo italiano.
La sucola dev'essere laica, l'insegnamento della religione nelle scuole è discriminante.
RispondiEliminaDove sono le leggi che tutelano i minori???
Qui si violano alla grande, un bambino non cattolico deve subire la discriminazione di andare fuori dalla classe durante l'ora di religione, è vergognoso!!
620 milioni di euro per insegnare la religione cattolica, soldi che in tasse pagano anche coloro che cattolici o credenti non sono!
La religione devono insegnarla i genitori prima e i tempi, ampiamente costruiti sul nostro territorio, poi, per chi liberamente scegli di credere.
Siamo cristiani perchè i nostri genitori ci hanno battezzato,a nostra volta abbiamo battezzato i nostri figli, non tanto per convinzione( da parte mia) per abitudine, per i miei genitori, era impensabile non battezzare.
RispondiEliminaLAICITA" della scuola e delle ISTITUZIONI di ogni ordine e grado.
Vanda, credo che non sia utile un post in cui sono inserite due articoli di diversa fonte (che qui è citata).
RispondiEliminaRiesce difficile leggerli assieme e organizzare un commento.
Colgo nel primo articolo una inesattezza: la sentenza del T.A.R. Lazio-Roma ha solo escluso che l'insegante di religione (peraltro pagato dallo Stato) possa avere peso nei giudizi finali e nella determinazione dei crediti scolastici.
Si tratta della sentenza n. 7076/2009, la cui motivazioe recita:«l'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica».
Secondo il Tar l'interpretazione data dal ministero dell'Istruzione «ha portato all'adozione di una disciplina annuale delle modalità organizzative degli scrutini d'esame, che appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero; nonché di libera determinazione degli studenti relativamente all'insegnamento della religione cattolica».
Il Tar, dopo aver ricordato il principio della laicità dello Stato, enunciato dalla Corte Costituzionale come «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale (C. Cost. n.203/89), ha precisato che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico», la scelta di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica deve essere assolutamente libera e in nessun modo condizionata.(IL SOLE 24 ORE - 12 agosto 2009).
Non credo che l'appello della Gelmini al Consiglio di Stato avrà successo.